Antonio Pieri di Osteria A Pagliai

MIGLIORE IN SALA 2021: ANTONIO PIERI, OSTERIA A’ PAGLIAI, QUERCETA, PREMIO VERSILIA GOURMET – FRANCIACORTA

Conosciamo questo professionista della sala, attraverso il racconto scritto e il racconto video.

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Starei ore ed ore ad ascoltare Antonio Pieri mentre parla, di qualsiasi argomento,  non necessariamente di cucina o di servizio. Il lessico di questo artista della sala non conosce confini nella ricercatezza di terminologie, così, il linguaggio che ne deriva e che le nostre orecchie apprezzano come musica, è fluente, forbito, raffinato.

Quando Antonio si presenta al tavolo per condurti amabilmente alla serata nella sua deliziosa e frequentata Osteria A’ Pagliai, resti incantato da questo suo modo così elegante e puntuale, condito talvolta anche da piccoli ed eleganti tocchi di ironia.

Osteria A' Pagliai, Querceta

Lo ascolti e resti ammaliato, colpito anche dalla notevole conoscenza di prodotti, ricette, vini e aneddoti culinari che snocciola con disarmante disinvoltura.

Antonio Pieri è nato 52 anni fa a Milano ed ha vissuto la sua infanzia nel Piacentino ma – ci confessa a più riprese – ha la Versilia nel cuore. E proprio in Versilia ha trovato l’amore della sua vita, proprio in Versilia ha scelto volutamente di vivere e lavorare “perché – ci dice ancora – chi vive qua forse non si rende conto della fortuna che ha di abitare in un luogo così fantastico”.

E la Versilia, attraverso questo meritatissimo Premio, ricambia questo enorme affetto e lo abbraccia con calore. E lo ringrazia, per questo suo modo esemplare di stare in sala, con stile, eleganza e professionalità

Antonio, raccontaci quando e da dove parte il tuo percorso di professionista della sala

Quando si dice essere nati con la camicia… beh, nel mio caso sarebbe più appropriato dire essere nati con il grembiule. Tutto iniziò da mio papà Piero che da Chiesina Uzzanese partì nella seconda metà degli anni ’50 alla volta di Milano per cercare fortuna. Erano gli anni dell’invasione toscana: da Lucca a Pistoia intere famiglie si trasferivano nella capitale meneghina per dar vita al primo esperimento di cucina fusion della penisola. Alla cotoletta e all’ossobuco si affiancarono così pappa al pomodoro, peposo e altri piatti con un’inesorabile scalata ai posti disponibili in menù.

Poi cosa accadde

Dopo alcuni anni di gavetta papà approdò a La Ruota di San Giuliano Milanese e lì rimase per parecchi anni. L’incontro, e poi il matrimonio, con mia madre Mariuccia (piacentina della Val Trebbia) gettò le basi per l’apertura di un locale tutto loro. La scelta cadde su di un fabbricato anticamente adibito a Posta/Locanda/Ristoro, in un piccolo comune della Bassa Padana, a pochissimi chilometri da Cremona ma ancora in provincia di Piacenza: si chiama  Castelvetro Piacentino e la mia storia parte effettivamente da lì, dalla trattoria “Croce Bianca”.

Parlaci della Croce Bianca

Dal 1973 al 2006 la Croce Bianca fu un vero avamposto toscano in terre ‘Verdiane’. Agli inizi la lista prevedeva una commistione di entrambi i territori: pappardelle con l’anatra e il cinghiale affiancavano i pisarei e fasò, ribollita e minestra di farro accanto ai malfatti burro e salvia…

E i clienti apprezzarono?

Il pubblico si abituò piano piano e dopo pochi anni leggendo il menù sembrava di essere accanto al Serchio o all’Arno, non certo al Po.

Quindi la Toscana protagonista…

L’amore per la Toscana da parte dei miei genitori non si limitò solamente alla cucina ma investì l’intero stile di vita: le vacanze a Viareggio erano una consuetudine, io ci passavo tutta l’estate grazie all’appoggio di parenti e amici di famiglia. Non starò neanche a dirvi della felicità che provavo ogni volta che la macchina inforcava la Cisa direzione Versilia.

Trattoria Croce Bianca, 1979

Tornando al menu?

Intere generazioni di cremonesi, piacentini, bresciani, lodigiani… sono cresciuti a testaroli, pici, peposo, fegatelli nella rete ecc. ecc. Persone meravigliose che ancora oggi ho il piacere di servire a tavola, rapporti umani inossidabili che hanno sfidato il tempo e le distanze.

Ma sappiamo anche che la Versilia non fu per te solo terra di vacanza

A completare il mio imprinting versiliese ci furono anche 6 anni trascorsi ininterrottamente a Viareggio (dal 1982 al 1988), quando i miei cedettero il ristorante per alcuni anni. In seguito, poi, alla prematura scomparsa della mamma alla fine degli anni ‘90 presi io le redini del locale e, grazie al sostegno lavorativo di mia moglie Serena, arrivammo fino al 2005. Nello stesso anno venne a mancare papà Piero e nacque nostra figlia Matilde.

A quel punto cosa decidesti di fare?

Maturai la decisione di chiudere la Trattoria e di trasferirmi a Viareggio, dove già avevo una splendida famiglia grazie ai genitori di mia moglie. Trascorsi l’estate 2006 al Bagno La Salute in Passeggiata a Viareggio, dove coprivo il ruolo di cameriere: i proprietari, carissimi amici, mi dettero l’opportunità di testare cosa significasse lavorare stagionalmente sul mare, comprendendo pregi e difetti di un’attività per me del tutto nuova.

Poi approdasti all’Imbuto di Viareggio

Esatto, nella primavera 2007 arrivai al ristorante L’Imbuto dell’amico Cristiano Tomei: il magnifico loft di Via Fratti era all’epoca il palcoscenico della cucina di Cristiano, uno chef vulcanico e dalla marcata personalità che negli anni ha saputo canalizzare creatività ed energie nella realizzazione di un progetto lavorativo votato all’eccellenza. Dopo alcuni anni L’Imbuto si trasferì a Lucca ed io non avevo intenzione di abbandonare la Versilia poiché il mio sogno era quello di lavorarci e viverci.

E allora cosa successe

Da lì a poco avrei incontrato Tommaso e Nino dell’Osteria A’ Pagliai.

Un incontro fatale…

Il destino era dietro l’angolo, occorreva solo attendere. Un amico comune, grande imprenditore nel campo dell’estetica e della moda, ci mise in contatto. Feci alcune serate in sala ai Pagliai e poi ne divenni cameriere per un anno.

Un anno come cameriere. E al termine di quell’anno?

Alla scadenza del periodo io e Tommaso decidemmo di metterci in società e, così, siamo arrivati fino ad oggi. I Pagliai sono un’altra bella pagina della mia vita, un luogo dove mi sono sentito a casa fin dal primo giorno e dove vorrei che tutti i nostri clienti potessero provare la mia stessa sensazione.

Come definiresti il tuo modo di stare in sala

Direi ‘family feeling’. Dare un certo tipo di calore, di accoglienza, ma sempre con le spalle dritte, ovvero stando attento a professionalità e contenuto. In questo senso direi che ho attinto da entrambi i genitori.

In che modo

Mia mamma è sempre stata una persona gentilissima, dolce, affabile, che cercava di accontentare tutti. Mio padre un ‘professionista da piedistallo’, uno che conosceva vini, materie prime, tecniche di cucina, e dotato di grande disciplina.

Hai vinto questo Premio, vuoi ringraziare qualcuno in particolare?

Un ringraziamento speciale lo faccio ai nostri chef Nino Salvatori, Tommaso Tarabella, David Lenzoni, Edoardo Zucca, gli aiuto-chef Farzan Navas e Federico Petroni e ai responsabili di sala Tommaso Salvatori, Emilio Monti e Alice Bergamini.

A chi vuoi dedicare questo Premio

Neanche a dirlo: ai miei genitori. Quel poco che so e che riesco a fare, ovviamente condito dal mio carattere e dal mio modo di essere, viene tutto da  loro.

Antonio Pieri con la scultura in marmo bianco di Carrara del Premio Versilia Gourmet - Franciacorta
1 Comment
  • Ambra Monterosso
    Pubblicato alle 20:55h, 20 Gennaio Rispondi

    Conosco Antonio Piero da anni e con gran piacere lo definisco il migliore in assoluto . Grande professionista. Accoglienza calorosa . ,Come a casa. Dedizione e amore nei minimi dettagli.

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